post — 27 Febbraio 2015 at 18:28

NoTav, hanno criminalizzato la partecipazione dei cittadini

Foto-copertinada Valigia Blu -La storia di una grande mobilitazione di protesta, un modello di democrazia partecipata. 25 anni di presidi, cortei, studi, analisi di una popolazione in lotta. E ora a che punto sono i lavori della tratta Lione-Torino?

Tav, a che punto siamo «Se dovessi iniziarla oggi, direi no alla Tav, perché la centralità di quell’arteria è discutibile in questo momento». Era il 2012, e Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze e rottamatore in ascesa, parlava in questo modo della costruzione della nuova ferrovia ad alta velocità che dovrebbe collegare Torino con Lione – passando attraverso un tunnel di 57 km – e affiancare la linea storica esistente fra le due città. Posizione rimarcata anche un anno dopo: «La Tav Torino-Lione? Non è un’opera dannosa, ma inutile. Sono soldi impiegati male». Una volta divenuto presidente del Consiglio, però, le perplessità sull’utilità di una delle storiche grandi opere pubbliche italiane sono state accantonate: «Sulla Tav si va avanti». La scorsa settimana il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica ) ha approvato il progetto definitivo dell’opera per un costo complessivo ipotizzato di 8,6 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi per la tratta italiana. Sui soldi necessari non ci sono ancora certezze, però. Scrive, infatti, Maria Chiara Voci sul Sole 24 ore che le cifre «dovranno ancora essere certificate da un ente terzo, incaricato con gara internazionale da Ltf (ndr Lyon Turin Ferroviarie, società a capo del progetto)». Procedura decisa, continua la giornalista,«a seguito della polemica per le stime al rialzo (12 miliardi totali di costo a vita intera contro gli 8,6 attuali) che erano contenute nel contratto di programma sottoscritto ad agosto da Rete ferroviaria italiana». Ieri, dopo l’accordo firmato con la Francia il 24 febbraio scorso in cui viene fissato l’inizio dei lavori al 2016, l’Italia e i cugini d’oltralpe hanno presentato la richiesta di finanziamento all’Europa del 40% della somma totale dell’opera (la risposta è attesa per giugno).

Appena sei giorni fa, il presidente di Ltf, Hubert Du Mesnil, intervistato da Le Monde, si era detto dubbioso sulla possibilità che l’Unione Europea possa concedere quella percentuale, ipotizzando un ribasso del finanziamento al 20% o un rinvio del progetto. Il Tav: un’opera costosa e inutile? Ma «il Tav non è solo un problema di costi», scrivono su lavoce.info Francesco Ramella, insegnante di Trasporti e logistica all’Università di Torino, Paolo Beria e Raffaele Grimaldi, ricercatore in Economia dei trasporti e collaboratore nel laboratorio di politiche dei trasporti del politecnico di Milano. Quasi 25 anni fa la nuova tratta ad alta velocità era stata progettata anche perché nella previsioni del traffico ferroviario sulla linea storica contenute nei primi studi «l’infrastruttura esistente avrebbe dovuto raggiungere la saturazione nel lontano 1997», ma in realtà, spiegano i tre ricercatori, questo non è accaduto: «il numero di treni sulla tratta transfrontaliera della linea non ha mai superato la metà della capacità della infrastruttura (e oggi si attesta intorno al 25 per cento)». Ad essere incerta, spiegano Ramella, Beria e Grimaldi «è anche la quota effettivamente spostabile sulla nuova ferrovia, che potrebbe essere ben inferiore a quanto previsto». Insomma, la richiesta è che, vista la decisione di procedere con l’opera «nonostante il radicale cambiamento delle condizioni complessive», vengano elaborate necessarie analisi «ben più approfondite di una semplice estrapolazione di un trend storico e con l’analisi che deve essere fatta – concludono – considerando tutte le alternative di percorso esistenti». A preoccupare, inoltre, è anche il rischio di infiltrazioni mafiose negli appalti per i lavori della Torino Lione. Nel luglio scorso l’operazione “San Michele” dei Ros ha portato a galla i tentativi della ‘ndrangheta di «spartirsi la torta» di tutti i lavori di trasporto dei materiali che passavano nel cantiere di Chiomonte in Val di Susa. «La pervasività della ‘ndrangheta e la dislocazione nei piccoli centri della provincia è emersa con nettezza» aveva commentato il colonnello Roberto Massi, comandante provinciale dei carabinieri di Torino. Storia del movimento No Tav: un modello di partecipazione dal basso La storia del Tav non si riduce però solo ad un dibattito tecnico o di natura economica, ma è anche e soprattutto la storia di una protesta, di un movimento che ha creato un modello di partecipazione e mobilitazione dal basso. Sono stati coinvolti professori universitari, amministratori locali e cittadini fin dall’inizio degli anni ‘90, quando prende piede il progetto dell’alta velocità. Il movimento è la storia di un popolo con legami fortissimi con la propria terra che si è fatto carico del proprio territorio, di cittadini che decidono di impegnarsi contro un’opera – calata dall’alto – ritenuta dannosa per l’ambiente, troppo costosa e sostanzialmente inutile. In tutti questi anni il movimento ha prodotto documenti tecnici approfonditi a sostegno della protesta. La contrapposizione è tra una partecipazione di cittadini organizzata dal basso e un “potere” che cerca di imporre dall’alto – senza coinvolgere realmente il territorio – un’opera che avrebbe cambiato per sempre la vita di quella della valle. Una mobilitazione che è un modello di democrazia partecipata e di coinvolgimento di cittadini, che in questi anni è stato sottovalutato, raccontato poco e male dai media mainstream.

Da anni in Val di Susa si susseguono convegni, giornate di approfondimento, incontri con studiosi e tecnici, scuole estive che ne hanno fatto una protesta informata, consapevole. I siti dei NoTav sono una miniera di documenti, analisi tecniche, di costi, statistiche, documenti della Corte dei Conti, di bilanci e tecniche di saccheggio del denaro pubblico. Una storia che meritava di essere raccontata diversamente. E non solo e principalmente al momento degli scontri. Persone di una piccola valle di 90.000 abitanti, lunga non più di 80 km e larga appena 15 km, che spiegano a Valigia Blu di aver raggiunto una coscienza civica proprio grazie alla battaglia intrapresa contro la realizzazione della nuova tratta ferroviaria. Una comunità che si è conosciuta e rafforzata anche nei presidi che dal 2005 sono nati nei luoghi in cui erano previsti carotaggi del terreno e cantieri, come uno dei primi, quello di Venaus. Nato per contrastare l’avvio dei lavori per la scavo di un cunicolo esplorativo per il Tav e diventato spazio di assemblee aperte e osservatorio del territorio. Luogo, però, che resta nella memoria storica del movimento anche per il duro sgombero da parte delle forze dell’ordine, avvenuto durante la notte del 5 e 6 dicembre di 10 anni fa, con persone ricoverate al pronto soccorso «con il naso rotto e la testa fasciata». Un trattamento quello al movimento No Tav da parte di forze dell’ordine e apparato giudiziario che per Livio Pepino, ex magistrato ora in pensione, si può definire di “repressione penale”, dovuto «a una mancanza da parte degli uomini delle istituzioni di un ascolto vero delle ragioni del territorio» che ha portato a un radicamento dello scontro, anche con atti violenti da parte di alcune frange della protesta. Il risultato è stato che un movimento variegato, ricco di spunti e iniziative è stato ridotto “a problema di ordine pubblico” e accusato anche di finalità terroristiche da gestire con fermezza. Anche se le ultime sentenze nei confronti di attivisti No Tav, condannati per reati minori dopo l’assalto al cantiere di Chiomonte del maggio 2013, hanno chiarito che di terrorismo non c’è traccia. Scrivono infatti i giudici della Corte d’assise di Torino nelle motivazioni della sentenza del dicembre scorso: Pur senza voler minimizzare i problemi per l’ordine pubblico causati da queste inaccettabili manifestazioni non si può non riconoscere che in Val di Susa non si vive affatto una situazione di allarme da parte della popolazione e che nessuna delle manifestazioni violente sino ad ora compiute ha inciso, neppure potenzialmente, sugli organismi statali interessati alla realizzazione dell’opera Abbiamo provato a ripercorre i 25 anni di resistenza No Tav in questa timeline e a capire a che punto fosse la mobilitazione dopo le ultime vicende politico-giudiziarie.

 Una valle militarizzata

«Hanno scelto Chiomonte perché meglio controllabile militarmente», spiega Claudio Giorno, storico attivista No Tav e fondatore del “Comitato Habitat”, prima particella attiva del movimento, mentre dall’alto di un’altura dinanzi al cantiere indica i muri di sbarramento che ne definiscono il confine, il ferro spinato che corre sopra e i militari che presidiano l’area. Il cantiere di Chiomonte, aperto nel 2011 dopo lo sgombero di un presidio No Tav da parte delle forze dell’ordine, è l’unica traccia concreta dei lavori della grande opera pubblica che da anni governi politici e tecnici si impegnano “portare avanti” (Berlusconi, Monti, Letta e ultimo quello di Matteo Renzi). Da circa due anni gli operai stanno scavando un tunnel geognostico, che servirà a preparare la base per gli scavi definitivi della galleria vera e propria. Il primo chilometro scavato, dei 7,5  previsti, era stato festeggiato a giugno dell’anno scorso. Ad oggi, si legge sul sito di Ltf (Lyon Turin Ferroviarie), i km raggiunti sono 2,35, poco meno di un terzo. Lavori che Giorno rivela essere «in un ritardo tale che l’Unione Europa, finanziatrice in gran parte di questo lavoro, ha già più volte tagliato i fondi».

“Hanno criminalizzato la partecipazione dei cittadini”

Per Livio Pepino, presidente del Controsservatorio Valsusa,«la valle e il movimento di opposizione alla linea ad alta velocità Torino-Lione stanno diventando sempre più il crocevia di questioni fondamentali per la nostra democrazia». L’ex magistrato, ora in pensione, parla della gestione vessatoria che lo Stato, nelle sue componenti politiche e giudiziarie, ha avuto e continuare ad avere nei confronti di forme di lotta e resistenza di minoranze, come quella del movimento No Tav. «Quasi che il problema dell’opposizione al Tav – spiega Pepino – fosse di ordine pubblico, di criminalità, addirittura di terrorismo e non un grande problema politico».

Sono sindaco perché sono No Tav

«È da 25 anni che si parla di Tav da noi. I miei figli sono cresciuti con questa storia», spiega Ombretta Bertolo, sindaco di Almese, paesino in Valsusa. Un discussione pubblica che negli anni ha coinvolto prima i territori coinvolti nell’opera e poi l’intero Paese, producendo documenti, libri, spettacoli per far capire le proprie ragioni:«Abbiamo creato dentro di noi una coscienza civica che è quella che ha fatto crescere questa comunità». Sabato 21 febbraio c’è stata una manifestazione a Torino contro il Tav. Migliaia di persone si sono incontrate in piazza e hanno marciato per le strade del capoluogo piemontese. I sindaci valsusini, alla guida del corteo, hanno approvato in Piazza Castello la delibera “Salviamo il territorio”, con cui si chiede che i miliardi di euro investiti per il Tav vengano utilizzati per altri scopi: come rimettere in sicurezza scuole, dare fondi all’Università e contrastare il dissesto idrogeologico.

fonte: http://www.valigiablu.it/notav-hanno-criminalizzato-la-partecipazione-dei-cittadini/