post — 9 Febbraio 2021 at 10:03

Chiude Buzzi-Unicem di Arquata: la bolla occupazionale delle grandi opere

Avevano promesso che avrebbe continuato la produzione fino al 2024, cioè fino alla fine prevista dei lavori del TAV Terzo Valico, ma la Buzzi – Unicem negli scorsi giorni ha annunciato la chiusura del sito di Arquata Scrivia, lasciando a casa venti lavoratori.

L’azienda, produttrice di cemento e conci, ha comunicato che per via del calo delle vendite, anche a causa della crisi da Covid 19, dovrà procedere con la “razionalizzazione” in corso da anni. Oltre al sito di Arquata ad essere chiuso sarà anche lo stabilimento di Greve in Toscana. Nonostante dunque le commesse per le grandi opere inutili e i bonus edilizi la Buzzi – Unicem si muove in acque agitate.

La crisi della fabbrica di Arquata infatti non è una novità: negli ultimi anni ha cambiato proprietà ben tre volte. Nel 2018 era stata ceduta dal gruppo Caltagirone a Italcementi-Heidelberg, e successivamente era approdata a Buzzi-Unicem. Il destino dell’impianto era dunque stato legato a doppio filo con quello del Tav Terzo Valico tanto che il Cociv (il Consorzio promotore e costruttore dell’opera) si era preso carico di assumere direttamente alcuni dipendenti dell’azienda ed aveva addirittura i suoi uffici all’interno dello stabilimento.

La Buzzi-Unicem era stata al centro di contestazioni non solo per il suo protagonismo nei lavori del Tav, ma anche per il suo impatto inquinante sul territorio. Quando ancora apparteneva al gruppo Caltagirone, sotto il nome di Cementir, fu condannata per i disagi causati dalle emissioni nei confronti degli abitanti della zona.

Questa vicenda è esemplificativa di molti aspetti che circondano le grandi opere e che ne confermano l’insostenibilità. Dai vari promotori viene propagandata ai quattro venti la loro portata occupazionale, ma la verità che si verifica quasi matematicamente è che le grandi opere sono uno stimolo debolissimo e niente affatto strutturale al mondo del lavoro. Spesso come in questo caso si trasformano in “bolle occupazionali” che trascinano modi di produzione superati e impattanti destinate ad esplodere in un nulla di fatto. Spesso nascondono la pura propaganda di un impatto benefico sul territorio in termini di posti di lavoro (ricordate la vicenda del supporto all’acciaieria Beltrame di San Didero da parte di Virano, che si risolse al solito con un nulla di fatto?) che non è mai supportata dai fatti.

Dunque la domanda che risuona è la stessa che da anni si fa chi si oppone a queste grandi opere inutili: quante vite, quanta natura, quante risorse siamo disposti a sacrificare per le menzogne di un modello di sviluppo inutile e nocivo che impoverisce i territori e arricchisce solo le lobbies?