post — 11 Febbraio 2013 at 17:52

Valsusa territorio di guerra per gli alpini: Ciro telefona a mamma’

Ripubblichiamo un articolo apparso sul sito Avellino Otto pagine il 10 febbraio e stranamente scomparso oggi 11 febbraio… E’ un articolo significativo perchè sebbene il nome del militare possa sembrare di fantasia, il contenuto è sicuramente vero e denota lo spirito con cui gli alpini ( e probabilmnete anche le forze dell’ordine) affrontano il loro servizio armato in Val di Susa. Uno spirito di guerra, visto che si parla di missione vera e propria, tant’è che il militare chiama a casa per tranquillizzare la famiglia proprio come avviene normalmente con gli altri commilitoni di servizio a Kabul.

Abbiamo iniziato a chiamare Chiomonte, Kiomontistan quando prese servizio la Brigata Taurinense all’interno del cantiere molto tempo fa (luglio 2011), ed evidentemente avevamo ragione. La Valsusa si configura così sempre di più come Ultima Frontiera per lo stato e i militari, terra d’occupazione, militarizzata al pari delle missioni a cui sono chiamati nel Mondo. E al pari di quei territori in cui esiste una guerra vera e propria , anche qui, in una Valle del Piemonte, gli occupanti devono fare attenzione alla Resistenza di un popolo che non si arrende.

A voi la lettura, sotto l’articolo copiaincollato e qui in allegato il pdf ( Io nel blindato) visto che l’articolo al link originale (qui) è scomparso

«Io nel blindato, assediato dai No Tav»

Il racconto di Ciro Esposito, giovane soldato dell’esercito, nativo di Grottolella: coinvolto negli scontri di venerdì sera in Val di Susa

  – Ciro Esposito, giovane soldato dell’esercito, nativo di Grottolella, venerdì sera si trovava in Val di Susa, di guardia al cantiere dell’Alta Velocità preso d’assalto da un gruppo di No Tav incappucciati e armati di bombe carta e sampietrini. «Erano molto ben organizzati – ci racconta -; non è stato facile rimanere freddi. Ma gli ordini erano di non reagire alle provocazioni».

E’ dalla sua viva voce che ascoltiamo il racconto dell’incursione, dell’altra sera (ecco una veloce sintesi del fatto: erano le 20 quando un centinaio di attivisti del movimento No Tav ha preso d’assalto il cantiere della Torino-Lione a Chiomonte; un piccolo gruppo ha tagliato la recinzione ed è riuscito a penetrare nell’area presieduta dalle forze dell’ordine – oltre all’esercito ci sono anche polizia, finanza, carabinieri, cacciatori di Sardegna e forestale -; i dimostranti hanno tentato di incendiare alcuni mezzi operativi, ma sono stati messi in fuga. Da indagini delle ore successive sono scattati fermi e denunce).

Ma a noi interessa di più il nostro soldato irpino coinvolto negli scontri. Ha già avuto modo di parlare ieri mattina con i suoi familiari che si trovano a Grottolella e di tranquillizzarli. Lui fino a giugno rimarrà in servizio al Nord: «E’ dal 15 dicembre che siamo a guardia del cantiere dell’Alta Velocità. E la situazione qui non è per niente tranquilla. Il cantiere si estende per sette ettari, al confine con la Francia: è in veloce espansione e tanta gente non è contenta».

Cosa è successo venerdì? «Con i commilitoni del mio reparto abbiamo preso servizio nel primo pomeriggio e tutto è andato liscio fino alla sera. Alle 19:50 c’è stato un black out e siamo rimasti tutti al buio. Si sono spenti anche i potenti fari che illuminano il perimetro recintato del cantiere».

E’ stato un sabotaggio? «Questo non è stato ancora stabilito. Di certo è che era tutto buio. Nel giro di 20 minuti i manifestanti No Tav ci hanno circondati, lungo tutto il perimetro reticolato. Hanno iniziato a lanciare petardi e bombe di quelle che si usano a Capodanno, e le lanciavano ad altezza uomo».

Hanno colpito qualcuno dei vostri? «Per fortuna solo un poliziotto è rimasto leggermente ferito, ad una gamba, perché vicino ai piedi gli era esploso uno di quei grossi petardi». E poi cos’è successo? «Il lancio dei petardi era un diversivo. Alcuni di loro nel frattempo hanno iniziato a tagliare le reti metalliche della recinzione. Un gruppetto di loro l’ha bucata proprio in corrispondenza del blindato dove mi trovavo io».

Cosa hanno fatto poi? «Una decina di loro è entrata ed ha iniziato a devastare tutto quello che si trovava di fronte. Hanno distrutto una torretta-faro che illuminava il perimetro. E intanto ci arrivavano addosso decine e decine di sampietrini». Voi che ordini avevate? Potevate reagire all’aggressione? «No. L’ordine era di mantenere la posizione finché fosse stato possibile. Ma senza reagire. Eravamo armati, ma anche nel caso le cose si fossero messe per il peggio, dovevamo arretrare. Solo dai finanzieri è partito qualche lacrimogeno. Noi ci siamo chiusi nel blindato e abbiamo aspettato i rinforzi. Quando sono arrivati, i No Tav sono scappati».

Tu come hai vissuto quei momenti? Hai avuto paura? «Di certo non è stata una bella esperienza. Non è stato facile perché ci hanno attaccato da più punti contemporaneamente. Ed erano molto organizzati». La fase più acuta degli scontri con i No Tav c’è stata a luglio, quando tra le forze dell’ordine si registrarono 189 feriti (di cui solo 5 tra l’esercito). Grottolella può essere fiera del suo soldato.

Articolo di