media, post — 7 Luglio 2020 at 20:17

Storie di resistenza dai mulini – CAP 1 (VIDEO)

Poche settimane fa la Corte dei Conti europea pubblica un rapporto che boccia il tav squalificandolo ad opera inutile, dannosa per l’ambiente ed enormemente superata.

Pochi giorni dopo i lavori per l’allargamento del cantiere in val Susa prendono il via, mobilitando migliaia di forze armate sul territorio, muovendo mezzi di lavoro e militarizzando una valle intera.

Nell’immediato i notav hanno organizzato la risposta, resistendo e occupando la loro terra.

Il 26 giugno telt ha comunicato ufficialmente la conclusione dei lavori della prima fase di allargamento del cantiere. Nella comunicazione, ultima notizia riguardante la faccenda ripresa dai giornali, Telt si glorifica di aver svolto il tutto “nei tempi e nei modi previsti”. Il conclamato allargamento ha implicato l’estensione dell’area del cantiere di 1 ettaro, la posa di nuove recinzioni e la costruzione di un ponte sul fiume Clarea per favorire il passaggio dei mezzi di lavoro. Una sceneggiata a favore di media per non perdere i fondi dell’Unione Europea.

Presidio permanente dei mulini.

Ormai da 15 giorni decine e decine di attivisti e attiviste no tav stanno vivendo in una porzione di terreno in prossimità del fiume Clarea, ai margini del bosco martoriato dal cantiere del tav, lambito su di un lato dalla ex via francigena. Nel momento in cui i promotori del tav hanno avviato i lavori il presidio permanente ha preso vita e contemporaneamente polizia, carabinieri, guardia di finanza e cacciatori di Sardegna hanno circondato il terreno chiudendone gli accessi. Grazie alla caparbietà dei solidali e alla conoscenza dei sentieri però, ogni giorno ai Mulini giungono vivande, acqua e generi di prima necessità, così come nuove forze per dare sostegno a chi non abbandona il campo. Ogni giorno i lavori per attrezzare il presidio migliorano la vivibilità del posto.. il forno, le docce, l’area tende, la cucina e ogni notte i presidianti monitorano l’andamento dei lavori e la presenza delle forze dell’ordine che circondano l’area su tre punti.

Nonostante Telt abbia terminato la prima fase dei lavori, la militarizzazione sul territorio permane. Nonostante alcuni sindaci francesi si siano dichiarati contrari all’opera, come Gregory Doucet di Lione e Eric Piolle di Grenoble, in Italia le istituzioni tacciono imbarazzate. Nonostante il risultato dei lavori si riassuma in una classica “operazione fuffa”, Telt sbandiera la vittoria sostenuto dalla grancassa dei giornali, negando l’evidenza di una misera mossa politica a seguito della bocciatura su più fronti. Non una parola sulla devastazione ambientale, sullo sfruttamento delle risorse, su una valle militarizzata.

La tarantella degli ultimi giorni su quanto le autostrade italiane siano straripanti di auto e camion, di quanto la logistica sia ritardata dalle code chilometriche che attanagliano la viabilità dal Piemonte alla Liguria, assume i contorni di un vile messaggio in favore di una linea ferroviaria che sostituisca il traffico su gomma. Questo è un insulto. Usciamo da tre mesi di pandemia, un evento inaspettato che ha travolto le vite di chiunque. Abbiamo capito che le responsabilità di questo crimine ci sono e non esistono giustificazioni. Sappiamo che i tagli alla sanità pubblica a favore di quella privata, la chiusura di presidi sanitari, ambulatori, consultori, servizi per la salute in gran parte dei territori, in particolare quelli più decentrati, sia una delle principali cause dell’incapacità a controllare e gestire la diffusione dell’epidemia. Una delle cause della morte di molte persone. Così come il lockdown è valso più per i legami sociali che per la produzione e il consumo di merci pensare di mantenere il progetto del tav come una priorità in agenda non è altro che la logica conseguenza per chi mette davanti alla sopravvivenza umana e della natura il guadagno e il profitto.

C’eravamo, ci siamo, ci saremo.

La lotta decennale contro il tav in Val di Susa ha insegnato che non é sufficiente contrapporsi a un’opera inutile ma che lottare insieme significa costruire un modello di vita differente. Significa solidarietà, condivisione e cura del territorio in cui si abita. Oggi continuiamo a raccontare una storia di resistenza quotidiana, per immaginare modi di vita sostenibili per l’ambiente e per gli esseri umani fuori dalle logiche di sfruttamento e devastazione.

Iniziamo da qui a scriverne un nuovo capitolo.