Si è svolta ieri a Torino la prima tappa di un ciclo di incontri sulla promozione dell’uso della ferrovia in un’ottica di mobilità sostenibile.
Tema centrale dell’incontro: il Tav, con le sue 10 milioni di tonnellate di CO2 emesse in caso di costruzione.
Farebbe già ridere così se non fosse che Iveta Radicova, Coordinatrice del corridoio 5 e della Torino- Lione, abbia dato una bella tirata d’orecchie ad Alessandro Morelli, Viceministro alle Infrastrutture per il Governo Italiano per la sua poca serietà nel rispetto degli oneri annessi alla realizzazione dell’opera.
Ripercorrendo brevemente la cronistoria della Grande Opera, come darle torto.
Un iter durato 30 anni, un progetto cambiato e ricambiato senza che di fatto si sia mai arrivato a nulla se non per il tunnel geognostico, un ritardo di TELT rispetto al cronoprogramma ufficiale fissato dal Governo italiano di 4 anni sull’avvio dei lavori di scavo, ritardo che non può che aumentare vista la mancata realizzazione delle opere accessorie.
Dulcis in fondo, una linea che doveva essere Torino-Lione ed è ormai ridotta a Chiomonte-Saint Jean de Maurienne, visto che dei progetti delle tratte nazionali non c’è nemmeno l’ombra.
Ebbene, con la firma degli appalti per i lavori sul lato francese, Radicova ha ottenuto da Parigi l’impegno a realizzare entro la fine dell’anno il tracciato della tratta d’accesso tra Saint Jean de Maurienne e Chambery e ora chiede quando si potrà fare lo stesso con l’Italia.
In tutta risposta il Viceministro Morelli ha abbozzato una risposta tra il serio e il faceto affermando: “il Governo ha fatto i compiti a casa e rispetterà gli impegni” e ha aggiunto una frase che ci riempie il cuore di orgoglio “resta un problema di ordine pubblico, nel quale non si deve lasciare spazio ai violenti”.
Partendo dal presupposto che rimandiamo al mittente le blaterate sull’utilizzo della violenza, giacché l’unica violenza da isolare è quella dello Stato che invece di dare ascolto alla popolazione e alle alle amministrazioni locali che da 30 anni urlano a gran voce che non vogliono quest’opera inutile e dannosa, la impone con la forza e con la militarizzazione del territorio. Ma certamente ci portiamo a casa il fatto che la nostra lotta popolare è stata ed è tutt’ora il palo che blocca l’ingranaggio.
Ma siccome noi No Tav siamo sinceri prima di tutto perché privi di interessi economici, a differenza dei governi che si sono susseguiti e dell’attuale Viceministro alle Infrastrutture Morelli, ci teniamo anche a rimandare ai signori dalle comode poltrone e ai dirigenti di Telt le loro responsabilità dirette che sicuramente hanno sull’andamento e lo sviluppo dell’opera.
Come dire, hanno blaterato per anni che in Valsusa i lavori procedevano, hanno militarizzato un’intera Valle costruendo un cantiere tra cemento, reti di ferro e filo spinato e questo non gli è bastato per proseguire con l’opera devastatrice. Sorge spontanea la domanda: che a lor signori piaccia di più intascarsi i denari che procedere con i lavori?
Noi dalla nostra continuiamo convinti che questa grande opera non serva che ad arricchire i soliti panzuti, che da troppo tempo mangiano sulle teste di tutte e tutti, a discapito proprio dei bisogni di primaria necessità come la salvaguardia dell’ambiente e dei territori per una vita in salute, che sicuramente in tempi di pandemia andrebbe messa al primo posto.
Se le bugie hanno le gambe corte e il naso lungo, le orecchie del Viceministro Morelli ieri hanno raggiunto dimensioni mai viste.