post — 24 Settembre 2020 at 10:20

Dana: se difendere un territorio è un crimine e viverlo un’aggravante

Riprendiamo questa interessante riflessione di Alpinismo Molotov sulla vicenda di Dana tra pandemia, “strategia dell’abbandono” e persecuzioni giudiziarie.

Con la “ripartenza” post-Covid le montagne verranno aggredite più di prima, questo è per noi – ahinoi – scontato: impianti sciistici e montagna divertimentificio, ché il settore turistico ha bisogno di riprendersi (quel che non ha potuto accumulare in questa prima parte del 2020).

Ma in particolar modo – mentre nel frattempo c’è chi vuole rendere legale lo sterminio dei lupi e scoppiano incendi di cui nemmeno si parla (svariati sull’Appennino durante l’estate) – tra Recovery fund e altre prebende ripartiranno tutte le grandi opere inutili e imposte.

E l’Entità – «Descriverla? E come, se era invisibile? Soltanto alla luce del giorno, mettendo bene a fuoco, si sarebbe potuto intuire un nucleo in movimento, vibratile, una sorta di fitto vortice, mulinello di incomunicabilità e grumi di miti logori. L’Entità, gonfia di potenza, aveva sfondato una finestra e si era subito diretta a Venaus.» [Wu Ming 1, UVCNPB] –, che dalle grandi opere trae linfa vitale, sappiamo che alberga anche tra le montagne, dove ha lasciato già profonde ferite negli ultimi anni, non solo in Valsusa (giusto un esempio, qui).

E se le montagne sono vittime d’aggressione, chi le abita lo è allo stesso modo, anche se a volte, è bene dirlo, le vie dell’iniquità e della prevaricazione sono così stratificate nel tempo e segnate da infiniti e subdoli svincoli che ci si può perdere e scambiare la vessazione per opportunità.

In Valsusa i segni dell’Entità all’opera abbiamo imparato a riconoscerli grazie alla caparbietà del movimento No Tav, che per non perdersi nel cammino – e con la cura di non perdere nessunx per strada durante il cammino – ha scelto la via del conflitto sociale, della conoscenza condivisa del territorio (di vita e) d’azione. L’Entità più volte è stata costretta a indietreggiare, a effettuare ritirate strategiche. Nonostante questo sappiamo che al movimento No Tav non è mai stato perdonato l’affronto di non voler svendere la valle ed è calata più volte la violenza dal braccio armato dell’Entità e di chi cammina con la legge sulle nostre facce. La scorsa settimana l’ennesimo episodio di repressione, con l’arresto e la traduzione in carcere dell’attivista Dana Lauriola, condannata a due anni di carcere. E, nella medesima giornata, l’arresto dell’attivista Stefano Milanesi.

Zero Calcare

Esprimiamo la nostra solidarietà a Dana ingiustamente incarcerata (ingiustamente per le ragioni giuridiche riportate in questo articolo e come mette nero su bianco perfino Amnesty international), a Stefano e a tutto il movimento No Tav. Per l’ennesima volta è in atto il tentativo di stringere il movimento No Tav all’angolo dalla repressione.
Nelle righe che seguono riportiamo alcune testimonianze e riflessioni condivise nel retrobottega di Alpinismo Molotov.

Segnaliamo, prima di lasciarvi alla lettura di queste riflessioni a più voci, che per scrivere un messaggio a Dana qui trovate le indicazioni su come farlo.

A sarà düra!

 

Vecio: “Strategia dell’abbandono” è il termine coniato per definire il disinteresse doloso dello stato in occasione dell’ultimo terremoto appenninico. Lasciare che una zona colpita da una calamità continui a essere invivibile ne indurrà in breve tempo lo spopolamento, e una terra non presidiata sarà più facile da saccheggiare in vari modi. Nelle zone di montagna, che costituiscono la maggior parte del territorio italiano, questa operazione è ancora più agevole. Il nome dato alla strategia è recente, ma la strategia è molto anteriore. Da quando esiste il movimento No Tav, la bassa Valsusa è diventata un territorio nel quale la resistenza a questo processo è più forte, determinato ed efficace, e non solo a livello nazionale. Questo è uno dei presupposti da tener presente raccontando i fatti di questi giorni.

Il 9 settembre il tribunale di Torino nega le pene alternative all’attivista No Tav Dana Lauriola rendendo cogente la condanna a due anni di carcere per avere usato un megafono durante un blocco autostradale di alcuni minuti, nel 2012. Per la stessa manifestazione fu condannata e in seguito incarcerata Nicoletta Dosio, colpevole di aver retto uno striscione. A partire dalla sentenza, il movimento organizza sotto casa di Dana un presidio che viene sgombrato senza risparmio di manganelli al momento dell’arresto, all’alba del 17 settembre. Il madrigale dei media mainstream non si fa attendere. Il Fatto Quotidiano, giornale di Marco Travaglio (invitato a una delle ultime edizioni di Alta Felicità), titola: «No Tav, arrestati la portavoce Dana Lauriola e l’ex terrorista di Prima Linea Stefano Milanesi», inaugurando il festival degli accostamenti spericolati, che culmina con un sottotitolo de La Stampa «L’ex terrorista Dana Lauriola»: un falso clamoroso degno di querela.

Nel frattempo l’ex onorevole Stefano Esposito, da sempre acerrimo persecutore del movimento, viene folgorato sulla via di Damasco e proclama, sempre su La Stampa, che l’arresto è un’assurdità, che si tratta di giustizia vendicativa (sic) e che non è normale finire in carcere per un blocco stradale. Per la verità ci era già finita Nicoletta e non si era sentito un fiato, comunque meglio tardi che mai.

Tra le motivazioni per le quali vengono negate le pene alternative, la non dissociazione dal movimento e l’aver continuato a vivere in Valsusa. Ecco un estratto:

La Lauriola risiede a Bussoleno, comune dell’Alta Val di Susa: la collocazione geografica del domicilio del soggetto coincide con il territorio scelto come teatro di azione dal movimento No TAV, il quale ha individuato il cantiere di Chiomonte per la realizzazione della futura linea dell’Alta Velocità come scenario per frequenti manifestazioni e scontri con le Forze dell’Ordine. La vicinanza di tale luogo al luogo di dimora della condannata, la espone al concreto rischio di frequentazione di soggetti coinvolti in tale ideologia e di partecipazione alle conseguenti iniziative di protesta e dimostrative che, dopo le stringenti limitazioni imposte dal lockdown, potrebbero in futuro diventare più frequenti in misura proporzionale alle decisioni programmatiche del Governo Centrale in merito alla prosecuzione dei lavori sulla linea ferroviaria (l’incremento delle infrastrutture costituisce uno dei fulcri del programma di governo per ottenere i fondi destinati all’Italia dal Recovery Fund europeo).

Qualche osservazione su questo stralcio:

  1. Il cantiere è a Chiomonte, in alta valle. Bussoleno invece è in bassa valle, ma la sentenza lo sposta d’autorità (giacché non ci permettiamo di ipotizzare che si tratti di ignoranza) per poter sostenere che «il domicilio del soggetto coincide» eccetera.
  2. Il cantiere viene descritto come «il territorio scelto come teatro di azione dal movimento No TAV, il quale ha individuato il cantiere di Chiomonte per la realizzazione della futura linea dell’Alta Velocità come scenario per frequenti manifestazioni e scontri»Allo stesso modo il capo Apache Geronimo scelse, guarda un po’, proprio i territori Apache (con tutto lo spazio che c’era!) per frequenti scontri contro i colonizzatori bianchi.
  3. Il movimento sarebbe una «ideologia» con la quale è «rischioso» venire a contatto.
  4. Il passo riportato sostiene (non si sa in base a quali fonti) una correlazione diretta tra il Tav e l’ottenimento del Recovery Fund. Ancora una volta, ce lo chiede l’Europa.

Davide: Il profumo del risotto ai funghi pervade il vialetto cieco, che termina proprio a casa di Dana. Di fianco al gazebo, su tavoli e panche ci sono verdure saltate, antipasti, uva fragola, dolci, vino… benvenuti all’aperiarresto!

C’è parecchia gente e Dana chiacchiera, sta bene, non è serena – ché nessuna persona potrebbe esserlo in quella situazione – ma la gestisce con lucidità e spirito positivo, per quanto affiorino dubbi e paure.

È chiaro ormai che a giorni, se non a ore, verranno a tradurla in carcere. Alcunx compagnx che han dovuto patire il carcere le danno consigli – “Taglia il cappuccio dell’accappatoio se no te lo requisiscono e portati ciabatte aperte se no ti requisiscono pure quelle” –, lei intanto pensa a come far accudire i suoi gatti quando sarà via; pensa a cosa mettere nel borsone – “Ai nuovi arrivi non avrai un armadio per i vestiti, porta poca roba poi ti farai consegnare il resto più tardi” –, a cosa potrebbe essere utile avere – “La radio, la radio assolutamente, per il resto c’è lo spaccio, han di tutto, costa il 40% in più di fuori ma c’è” – e pensa a come cazzo possa essere finita in quell’incubo. Difficile dirle qualcosa di utile, una stupida battuta sulle lime nelle torte è tutto quel che riesco a tirar fuori.

Alzando lo sguardo però è – paradossalmente – un bel momento; tante persone che si stringono attorno a questa ragazza che sta subendo un’enorme ingiustizia, e lo fanno sì da militanti, ma soprattutto da amici, da comunità…

Due anni di carcere per aver parlato al megafono in un “parablocco” autostradale (che non era propriamente un blocco, si erano aperte le sbarre dei caselli, “Oggi paga Monti” era lo slogan della giornata), 10 minuti, settecento euro di danni all’autostrada… in totale 18 anni di condanne affibbiate a compagnx.

Il “parablocco”

Lei è incensurata, mai l’ho vista lanciare una pietra – per dire quanto sia sempre stata incardinata nelle pratiche non violente (non le uniche e non le uniche legittime) la sua militanza – o nulla di simile; a quel che sento, pare gli inquirenti abbiano in questi anni fatto di tutto per ritrarla in un gesto violento, ma inutilmente, ché la sua lotta si declina, appunto, in un altro modo. Sono le sue parole, la sua ostinata pervicacia a irritare la controparte.

Daniele: Come torinese rinnegato che ha scelto la Valle (e quindi altamente sospetto?) voglio raccontare la situazione assurda di questi giorni di attesa di riapertura delle scuole, perché mi sembra significativo quel che ho potuto vedere e leggere invece quel che viene raccontato della Valsusa. Nella mia ex-che-forse-mi-richiama-ma-chissà scuola di Avigliana ho assistito durante il lockdown a una situazione da manuale, con un dirigente che ha fatto di tutto per non perdere nessun ragazz*. Parliamo di un bacino di utenza sperso tra Valsusa e Val Sangone, con non pochi casi di frazioni disperse con connessione a 56k o poco più. La discrepanza tra questa realtà e il quadro ridicolo dipinto dai media mi sembra rilevante.

Vecio: E pensare che anch’io avrei una mezza idea di trasferirmi in Valle, se tra qualche anno arrivo alla pensione. Bussoleno è una delle opzioni. Se c’è una terra che da molti decenni, da prima del Tav, sento mia pur non essendoci nato, pur non essendo suo, è “la Valle”. Posti (sentieri, borgate, boschi, creste, combe) nei quali ritorno con la sensazione animale di essere a casa, a tana. Anche se in Valle una casa, una tana, per ora nemmeno ce l’ho. E da quando il movimento c’è, questa sensazione è ancora più forte, e la tana un posto ancora più caldo e “sicuro”. E questo, se pensiamo alla storia rischiosa degli ultimi decenni, è un paradosso. Uno dice: ma perché andarsi a mettere in un posto dove, a meno di non fingere di non essere ciò che sei, passi la vita come un biglietto della lotteria, che se vinci ti fai magari due tre anni di galera? Porti uno striscione, una bandiera nel momento sbagliato e nel posto sbagliato e quelli ti rovinano?

Non ho mai amato nessuna patria, terra dei padriblut und boden, bandiere, parate e annesso ciarpame. La patria te la trovi per nascita, ti viene calata (cagata) dall’alto e te la devi tenere finché campi. E soprattutto devi amarla monogamicamente. Non te ne puoi scegliere un’altra, non sei una pianta errante che mette radici solo quando trova il terreno giusto: non puoi errare (anche se dopotutto humanum est). La nostra civiltà attuale, e la legge che ne emana, non ammettono l’erranza, il nomadismo che pure è stata la condizione di homo sapiens per la maggior parte della sua esistenza. Non ammette una patria mondo intero. Se vai ad amare un’altra terra, se ti curi di una casa dove non sei nato ma sei arrivato perché la vita ti ha portato lì, e quindi se è il caso la difendi, non va bene. Lo vediamo ogni giorno sulla pelle dei cosiddetti migranti, non può stupirci che valga anche per noi. In Valle (per la verità la parte alta, l’altra Valsusa) ci puoi andare come turista, caccia i soldi allo skilift o al bar, paga l’albergo, comprati la casa di villeggiatura, la seconda casa, non la prima. Ma poi levati dai coglioni e torna a casa tua. Non per scelta di chi in Valle ci abita, ma di chi ci guadagna. Non devi occuparti della Valle, non devi curarla, se ne occuperanno altri: guarda che belle piste! Tu arrivi, parcheggi, fruisci, sei cliente quindi complice dello sfruttamento ma guarda che abbronzatura! Quindi non sollevare problemi che non esistono. Non è, non deve essere, non sarà mai casa tua.

Davide: 17 Settembre, non sono ancora le 6 del mattino ed il telefono è già zeppo di messaggi d’allarme: stanno andando a prendere Dana. Tantx solidali si trovano davanti a casa sua per mostrare alla polizia quanto non apprezziamo l’operazione; le camionette sono 5 o 6, piene di opliti in antisommossa, con attorno molti agenti della digos; si alza la tensione, ci sono spintoni, piccole cariche… il tutto per portare via una ragazza che già il giorno prima aveva preparato il bagaglio, senza la minima volontà di sottrarsi all’arresto. In mattinata sento un paio di compagni che sono rimasti feriti, mi dicono che tutto sommato stanno bene, e nel frattempo vengo a sapere che a margine dell’operazione hanno messo ai domiciliari un altro compagno, Stefano.

Nel mentre sui quotidiani compaiono titoli degni di querela: riparte la demonizzazione del movimento, che al solito non ci sta alla divisione buoni/cattivi che vorrebbe essere imposta, e la sera stessa dell’arresto alla fiaccolata per Dana e Stefano ci sono militanti, amministratori, gente di ogni età. Di nuovo incazzatx, di nuovo determinatx, di nuovo in strada.

Vecio: Per tornare alla “strategia dell’abbandono”, vediamo confermata la relazione stretta tra calamità non necessariamente naturali e volontà di spopolarne l’area di interesse: il fatto di abitare un luogo e difenderlo se necessario è diventato una aggravante in un processo. Il passo citato sopra infatti può essere letto: siccome “la condannata” vive a Bussoleno, che è vicino al cantiere e nel territorio del movimento, non possiamo proprio lasciarla a casa sua ai domiciliari ma siamo ahimè costretti a deportarla. Chiediamoci: quanto può allargarsi il campo di applicazione di questo principio?

Finalmente i colonizzatori hanno capito che, dopo decenni di sforzi inutili per far partire quel cantiere, finché la Valsusa sarà popolata il cantiere non partirà. È necessario quindi applicare la geniale dottrina Bush jr., escogitata anni or sono in occasione dei primi enormi roghi in California: per prevenire gli incendi boschivi è necessario tagliare tutti gli alberi. Ma una montagna che recentemente ha difeso i suoi boschi da un incendio di proporzioni californiane difficilmente si lascerà spopolare da manovre di “magistratura creativa”.

Piuttosto possiamo chiederci se questo accanimento non sia già una manovra preventiva e intimidatoria in vista di probabili modifiche al programma dei lavori che aggraverebbero ulteriormente ed enormemente l’impatto sulla valle, come viene da pensare leggendo – per esempio – qui.

En passant… i segni dell’Entità

Nel tempo l’Entità è stata costretta più volte dal movimento No Tav ad arretrare, a ritirarsi momentaneamente. In quelle occasioni pare cerchi di riprendere vigore, per tornare poi ad allungare i propri tentacoli dalla città metropolitana verso la valle. Per chi ha l’occhio giusto per vedere oltre che per guardare, i segni dei sommovimenti dell’Entità lasciano tracce.

Lo ricordate questo passaggio di Un viaggio che non promettiamo breve?

In piazza Nizza 46, un palazzo grigio e liscio di sette piani. Al quinto piano, un ufficio, a quell’ora deserto. Nella stanza più grande dell’ufficio, un tavolo da disegno poco inclinato, quasi orizzontale. Sul tavolo, nella luce di una lampada a braccio flessibile, un foglio bianco.
Come una Sindone, il foglio riportava l’impronta della Val di Susa in variabili toni di grigio: l’orografia, le linee della ferrovia, delle strade, dei corsi d’acqua… Su quei toni di grigio, righe più marcate, righe nere, continue e tratteggiate, accompagnate da scritte e cifre. Il progetto della Nuova Linea Torino-Lione.

Piazza Nizza 46. Ci siamo tornatx oggi, e l’impressione è che residui dell’Entità abbiano lasciato tracce violente sull’edificio:

Sintonizzandosi col passo e lo sguardo della psicogeografia è possibile rintracciare i segni lasciati dall’Entità.

E ancora, ironia delle ironie, l’edificio che custodiva le carte del progetto TAV è sotto bonifica per amianto e in fase di demolizione…