post — 30 Novembre 2022 at 09:31

Cop 27, ovvero l’ennesimo circo mediatico

Da poco più di una settimana si è concluso il 27esimo incontro delle Nazioni Unite
in materia di ambiente e crisi climatica che quest’anno si è tenuto a Sharm el-Sheik in Egitto, dove, in uno dei momenti più critici e importanti per il futuro del pianeta, non solo è stata vietata ogni forma di manifestazione per mettere pressione ai politici, ma in cui sono anche attualmente detenutə oltre 60 000 attivistə per il clima e per i diritti umani.

Il primo dato che colpisce in questa vicenda è il numero 27. Sono 27 anni che questo organismo si riunisce (Cop1, Berlino 1995) l’unico dato sulla riduzione delle emissioni é quello legato ai due anni di pandemia in cui il mondo e la produzione, si sono fermati. A dimostrazione dell’inutilità di queste conferenze ricordiamo che a 7 dagli accordi di Parigi, che prevedevano un dimezzamento delle emissioni entro il 2030 è un azzeramento entro il 2050, notiamo che attualmente su 196 paesi firmatari, solamente uno (il Gambia) li sta rispettando

A questo proposito è straordinario notare come quest’anno l’eliminazione della causa primaria del riscaldamento globale, ovvero le emissioni di CO2, non venga addirittura mai neanche menzionata nelle decisioni.

Come si combatte qualcosa che non si può neanche nominare?

Il secondo dato, indispensabile per inquadrare le dimensioni del problema è la composizione dell’assemblea che vede circa 600 rappresentanti dei combustibili fossili tra ospiti e sponsor.
Il “The Guardian” ironizza amaramente che ci fossero più lobbisti dei combustibili fossili che delegati delle Isole del Pacifico.

Sicuramente questo stravagante mix di invitati, serve su un vassoio d’argento l’opportunità di convincere ministri e capi di Stato di ogni angolo del pianeta a cedere le loro riserve intatte in nome dell’urgente “corsa al gas” dettata dal conflitto con la Russia.

Basti pensare che nel testo finale della Cop27 é contenuto un provvedimento per incentivare le “energie a basse emissioni”. Che vuol dire tutto e vuol dire niente.
Potrebbe significare parchi eolici e solari oppure reattori nucleari, centrali elettriche a carbone dotate di cattura e stoccaggio del carbonio. Potrebbe anche essere interpretato nel senso di gas, che certamente ha emissioni inferiori rispetto al carbone, ma è pur sempre un importante combustibile fossile.

Si aggiunge a tutto questo, un assetto politico globale che vede due schieramenti: chi sfrutta e detiene il potere e chi viene sfruttato e paga le conseguenze dei cambiamenti climatici.

L’unico dato positivo di questa Cop27 pare essere l’accordo su perdite e danni sancito con i paesi in via di sviluppo, da sempre i più sfruttati e devastati dalle attività estrattive.
Dopo quasi tre decenni, hanno ottenuto il riconoscimento al denaro necessario per salvare e ricostruire le infrastrutture fisiche e sociali dei paesi devastati da condizioni meteorologiche estreme.
Raggiungere finalmente un accordo su un fondo è un nodo importante .
Ora peró, arriva la parte difficile: il fondo deve essere costituito e riempito di contanti ma non è stato stabilito come dovrebbero essere forniti i finanziamenti e da dove dovrebbero provenire. A pensar male a volte ci si azzecca…

Insomma, la vera domanda è: davvero crediamo che un teatrino del genere con personaggi che volano a Sharm el Sheik al meeting mondiale sul clima con un volo di 24 ore a bordo di un jet privato, abbia idea di cosa fare o la volontà reale di perseguirlo?

Quello che appare sempre più evidente é che la Cop27 così come i G7 e compagnia cantante, siano l’azione di greenwashing per eccellenza.
Come a dire ” non vi preoccupate, i potenti del mondo stanno lavorando per voi e salveranno il pianeta”. Quando poi, leggendo i resoconti viene da mettersi le mani nei capelli.

Abbiamo bisogno di risposte chiare e di provvedimenti urgenti e vincolanti.
Abbiamo bisogno di organismi piú piccoli e maneggevoli, al di fuori delle vetrine mediatiche.
Abbiamo bisogno di comitati locali, nazionali e internazionali in dialogo tra loro; perché solo conoscendo i punti di forza e di debolezza del proprio territorio si puó ragionare di soluzioni sensate e poco impattanti al di fuori delle logiche di profitto.

Non vogliamo vedere il mondo soccombere sotto il peso dei profitti.
Non vogliamo ammalarci e morire di inquinamento.
Vogliamo un futuro libero da devastazione e sfruttamento.