post — 18 Settembre 2020 at 17:30

Gli amministratori dicono NO alla variante per scaricare a Susa lo smarino

Un paio di settimane fa avevamo parlato della nuova variante di progetto che prevede lo spostamento del deposito dello smarino da Salbertrand a Susa. Una variante passata sotto silenzio nella migliore tradizione di Telt, avvezza ai magheggi e alle manovre nella penombra.

La variante sarebbe a sua volta frutto della gestione poco chiara dei cantieri da parte di Telt, infatti a quanto pare non sarebbe possibile liberare l’area di Salbertrand dai rifiuti amiantiferi ed altri, come da noi denunciato (vedi Grosso guaio a Salbertrand), in tempo per il rispetto del cronoprogramma dei lavori. Sorge spontanea la domande sul perché sia stata scelta proprio quell’area a questo punto, ma tant’è.

La stima di Telt parla di un tempo che varia tra il 2024 e il 2027 per completare i lavori sui rifiuti a Salbertrand (ed ipotizziamo eventuale bonifica, poiché non è ancora noto cosa esattamente sia sepolto là sotto), tempo non utile per ospitare il materiale che dovrebbe essere estratto dalla galleria dal 2022 e lavorato nella fabbrica di conci prevista sempre a Salbertrand.

Dunque la soluzione ipotizzata da Telt sarebbe quella di spostare una parte, se non l’intera quantità di smarino nella piana di Susa, con un impatto gravissimo sulla salute, il traffico e la qualità della vita per la bassa valle.

Qualche giorno fa, alla luce di queste novità è avvenuta una presa di posizione pubblica da parte degli amministratori dei comuni della valle che riportiamo qui sotto:

dall’UNIONE MONTANA VALLE SUSA

TORINO / BUSSOLENO –  La società Telt, Tunnel Euralpin Lyon Turin, incaricata di scavare il tunnel di base del Tav cambia le carte in tavola. Telt ha intenzione di spostare da Salbeltrand a Susa l’area di scarico e di lavorazione della maggior parte del materiale di scavo del tunnel.

Lo si apprende da un’ipotesi progettuale di Telt, di cui è venuta a conoscenza l’Unione montana. Il sito di Salbeltrand non sarà disponibile per larga parte degli anni di costruzione della Torino-Lione, almeno fino al 2024 e forse fino al 2027, perché già occupato da cumuli di materiali e rifiuti che necessitano di lunghe operazioni di rimozione e bonifica. Questa situazione era già nota e segnalata da Città Metropolitana nel corso dell’iter autorizzativo del progetto.

I sindaci della Valsusa chiedono pertanto il rispetto delle procedure e la tutela della salute dei cittadini, sottolineando che questo cambio di progetto richiede sicuramente una Valutazione di impatto ambientale (Via), che certifichi la compatibilità ambientale del progetto. L’Unione montana è profondamente contraria a questa ipotesi di variante che provocherebbe infatti un incremento potenziale delle quantità di smarino scaricato a Susa di 5 volte maggiore rispetto a quanto previsto dal progetto attuale. Crescerebbero in modo
sostanziale gli impatti ambientali e sanitari del cantiere su tutta la bassa Val di Susa. Si parla di 6,5 milioni di tonnellate di materiale di scavo (anziché 1,4) da trasportare, scaricare, selezionare, lavorare e in parte inviare nelle discariche di Caprie e Torrazza Piemonte. Per questo Telt starebbe pensando di utilizzare Susa, con un movimento di decine di migliaia di camion e un impatto sulla viabilità e sull’inquinamento atmosferico su tutta la bassa Valsusa che non è mai stato valutato.

Susa infatti potrà diventare la sede di lavorazione di tutto il materiale di scavo del tunnel. Secondo i tecnici della Commissione Tav dell’Unione montana, Telt è obbligata a effettuare una variante sul progetto definitivo, ma per fare questo è necessario innescare una Via con successiva autorizzazione del Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica.

La modifica di questo progetto richiede infatti necessariamente una Valutazione di impatto ambientale. Le varianti piccole possono infatti essere proposte al Ministero dell’Ambiente e gestite in autonomia. Diversamente sono necessarie una Via, una consultazione pubblica con conferenze di servizi e infine il parere del Ministero e del Comitato interministeriale per la programmazione economica. Questa procedura, che l’Unione montana ritiene ineludibile, richiederebbe verosimilmente un iter di due-tre anni.