documenti, post — 15 Ottobre 2020 at 11:30

San Didero: uno spazioporto (inquinante) che viaggia indietro nel tempo

Introduzione

Sedetevi comodi e preparatevi a leggere una lunga storia che viene da lontano e che contiene in sé molti dei motivi della nostra lotta e della determinazione con cui continuiamo senza sosta a difendere la nostra terra. Una storia che ha tanto in comune con altri contesti del nostro paese, ma che, a suo modo, racconta in maniera più generale il mondo in cui stiamo vivendo.

Iniziamo dalla fine: entro il 31 dicembre 2020, secondo cronoprogramma, Telt dovrà iniziare i lavori per il trasferimento dell’autoporto da Susa a San Didero.

Intanto cos’è un autoporto?

E’ un parcheggio per autoveicoli ed autotreni, creato in prossimità di un posto di frontiera per agevolare le operazioni di controllo della dogana senza intralciare il traffico stradale.

Perché dunque, secondo i promotori del TAV Torino – Lione, l’autoporto dovrebbe essere spostato da Susa a San Didero (che per chi non lo sapesse è in bassa valle, a 15,2 km da Susa e a circa 56 km dalla frontiera)?

Perchè nella piana di San Giuliano di Susa, dove al momento si trova questa infrastruttura, dovrebbe sorgere la stazione internazionale dell’Alta Velocità. Un’opera faraonica e una cattedrale nel deserto, ma su questo argomenteremo più in là. Nello stesso luogo, secondo le indiscrezioni degli ultimi tempi dovrebbe essere installato anche un deposito dello smarino, cioè dei materiali di risulta derivati dagli scavi del tunnel di base. Deposito che avrebbe dovuto vedere la luce a Salbertrand, in alta valle, in concomitanza con la prevista fabbrica dei conci, ma che a causa della presenza sul territorio designato di rifiuti amiantiferi e di altro genere non potrebbe essere disponibile per l’uso nei tempi previsti da Telt. Anche su questa vicenda torneremo più avanti perché sono evidenti i punti di contatto tra la storia di Salbertrand e quella che stiamo per raccontarvi, intanto se non li avete ancora letti vi proponiamo alcuni articoli per approfondire la tortuosa e paradossale avventura di Telt a Salbertrand (Grosso guaio a Salbertrand, Chi ha scaricato l’amianto (ed altro) a Salbertrand?, Le grandi opere, il Tav e Salbertrand, il paese di mezzo, Salbertrand: la menzogna del Tav in Alta Valle).

Dunque il territorio di San Didero è stato individuato come quello più adatto alla costruzione del nuovo autoporto. Per alcuni versi, almeno secondo la logica dei promotori, è stata una scelta obbligata data la pesante infrastrutturazione (sic!) della bassa valle. La piana dove dovrebbe sorgere la struttura, al confine tra i territori di San Didero, Bruzzolo e Borgone è tra i pochi spazi “liberi”, o meglio è uno dei pochi luoghi dove insiste ancora un bosco di una certa entità nella pianura della valle. E’ a tutti gli effetti l’unico polmone verde della zona.

Non solo: il terreno in questione è fortemente inquinato per via delle emissioni delle acciaierie che lo circondano. Pcb e diossine si sono depositate per anni indisturbate su quest’area, almeno fino alla metà dello scorso decennio. La zona inoltre è stata soggetta all’intombamento illegale di rifiuti tossici da parte dei soliti ignoti, ritrovati a più riprese. I rischi per la salute di chi risiede nella bassa valle sono evidenti di fronte ad un intervento del genere, ma Telt va avanti a testa bassa, supportata da lobbies degli affari più o meno oscure e dai governi che si sono succeduti negli anni.

L’idea di installare un’infrastruttura del genere a San Didero comunque non è una novità, ma permane almeno fin dai primi anni ’70, tanto che, rullo di tamburi, un autoporto in quella zona era già stato costruito “quasi” completamente.

La struttura era praticamente pronta, con uffici arredati, sanitari ed infissi, ma si decise che fosse più “funzionale” avere l’autoporto a San Giuliano di Susa. La costruzione fu dunque abbandonata a se stessa nella classica logica speculativa e ad oggi rimane un affascinante, ma devastante scheletro di cemento e mattoni vuoto in mezzo al bosco. D’altronde sappiamo che è tradizione di Telt prendere idee trapassate, superate dalla storia e impacchettarle da balle futuristiche sul progresso. Peccato che il costo di questa manovra per le tasche dei contribuenti sarebbe circa di 55 milioni di € di cui 5, come abbiamo scritto qui, spesi in “security” (alla faccia del dialogo col territorio).

Pubblicheremo nei prossimi giorni una serie di articoli a puntate in cui approfondiremo questa storia fin dalle sue origini per dare un quadro più generale del contesto in cui si inserisce la grande opera inutile e le sue varie propaggini. Una storia di padroni ed operai, di speculazioni e resistenze, soprattutto una storia di difesa del diritto alla vita, alla salute, alla natura. Una storia che è impressa nel nostro DNA. Buona lettura!

 

Un autoporto fantasma direttamente dagli anni ’70

“COMINCIATI A SAN DIDERO I LAVORI PER L’AUTOPORTO (100mila metri quadri)”. No, i lavori non sono iniziati veramente, o meglio non sono iniziati i lavori di questo autoporto. Il titolone che riportiamo qui sopra è di un articolo apparso su La Stampa il 16 settembre 1977. Si, ben 43 anni fa la busiarda annunciava in pompa magna che “le interminabili code di autotreni ed autoarticolati alla dogana di Via Giordano Bruno [a Torino]erano “destinate a diventare un ricordo”. Si spinge anche più in là, prevede che il nuovo autoporto di San Didero sarà pronto e funzionante per la primavera del 1979. Ovviamente, come sappiamo, nulla di tutto questo accadrà veramente. Ma nonostante ciò l’articolo merita comunque un’attenta lettura per le altre piccole perle che ci riserva.

L’autoporto sarebbe dovuto nascere su iniziativa di privati, la “Autoporto Torino San Didero Spa”, composta da spedizionieri, commercianti e industriali torinesi. L’infrastruttura avrebbe dovuto provvedere ai controlli doganali per 500 autotreni al giorno. Il territorio di San Didero venne scelto perché pianeggiante e facilmente connettibile alle due statali. Nonostante le idilliache premesse però, e qui è necessario fare attenzione, Giancarlo Carpaneto presidente della società lamenta che i rapporti con le istituzioni territoriali non sono propriamente buoni: “Abbiamo presentato il progetto dell’autoporto a entrambi [Regione e Comunità Montana della Bassa Valle], ma non abbiamo trovato molto entusiasmo. Così siamo andati avanti da soli. Ma siamo tuttora disponibili alla collaborazione e alla partecipazione. Non si tratta di una speculazione privata (sic!), ma di un’iniziativa destinata a portare benefici a tutti (sic!!). A cominciare dagli oltre cento posti di lavoro che si renderanno disponibili (strasic!!!).” Suona familiare questo discorsetto? Si ha la sensazione che Telt tiri fuori da schedari impolverati di quarant’anni fa non solo i progetti per le sue opere “rivoluzionarie”, ma anche le balle con cui confezionarli.

Di pochi giorni dopo è un altro articolo in cui lavoratori e sindacati esprimono forti perplessità rispetto al progetto chiedendone il blocco immediato. Il 21 settembre ’77 il Coordinamento Unitario Regionale Trasporti Cgil – Cisl e Uil manda una lettera al sindaco di San Didero, alla Comunità Montana e all’assessore ai trasporti della Regione. Nella lettera i sindacati affermano che iniziative come l’autoporto di San Didero “rappresentano un dato di continuità in un modo di intervenire che è stato la causa di fondo della crisi che attanaglia il settore dei trasporti in Piemonte e nel Paese… [attenzione, già si parlava di crisi del settore, do you know previsioni di traffico?] non tenendo conto della necessità di razionalizzare e coordinare i traffici attraverso il massimo utilizzo degli impianti e delle vie di comunicazione esistenti [l’articolo potete leggerlo qui sopra, non ci stiamo inventando niente], l’uso corretto dei mezzi e degli uomini per eliminare sprechi ed inefficienze, per ridurre il peso delle rendite parassitarie e avviare l’intervento programmato della mano pubblica nella costruzione di nuovi impianti.” Dunque i sindacati chiedono il blocco dell’opera per “evitare una nuova fase di privatizzazione dei sistemi di trasporto e un piano di speculazioni in Valle di Susa”. Che aggiungere? Si potrebbe dire che certi sindacati erano un’altra cosa o che gli speculatori sono rimasti sempre gli stessi.

Naturalmente la vicenda dell’autoporto fantasma di San Didero non finisce qui, i lavori non vengono affatto bloccati sul nascere come richiesto dai sindacati dei trasporti. Si va avanti, ma i tempi di costruzione dell’opera si dilungano e ovviamente la primavera del ’79 fa in tempo ad appassire. Si ritorna a parlare dell’autoporto di San Didero su La Stampa l’11 Dicembre del 1981 in un articolo sui disagi generati dai controlli doganali al di là del confine con conseguente protesta dei trasportatori, ma i toni sono decisamente meno trionfalistici: “La situazione comunque è ancora lontana dall’essere normalizzata, e anche l’apertura dell’autoporto (prevista per il luglio dell’82) in costruzione a San Didero, prima di Susa, non sembra convincere gli addetti ai lavori, perché sarebbe troppo lontana dalle frontiere.” E ancora nell’83, questa volta in un trafiletto sui nuovi poli commerciali in valle per “spennare i turisti” (parole di La Stampa), leggiamo che gli amministratori hanno indicato la trasformazione dell’autoporto di San Didero in un centro di assistenza ai veicoli pesanti in transito.

L’83 è anche l’anno dell’inaugurazione dell’altro autoporto, quello di San Giuliano di Susa(avvenuta in fretta e furia pochi giorni prima delle elezioni) da parte del Ministro dei Trasporti Nicolazzi (condannato per concussione durante Tangentopoli nell’ambito del processo per il cosiddetto scandalo delle “carceri d’oro”, relativo a tangenti versate ai politici sugli appalti per la costruzione di penitenziari), per poi rimanere inutilizzato fino all’85, costando comunque alle tasche dei contribuenti 2 milioni di lire al giorno per interessi bancari nonostante fosse deserto.

Da allora l’autoporto di San Didero è rimasto lì, quasi finito, ma inutilizzato, esposto alle intemperie e denudato di ogni oggetto di qualche valore. E’ diventato patrimonio di writers in cerca di muri tranquilli dove sperimentare la propria arte e monumento, obbrobrioso, alla stupidità del libero mercato e delle lobbies del cemento.

Nelle prossime puntate:

Acciaio e veleni, una lunga storia di inquinamento in bassa Val di Susa

La strategia della gazza ladra. Telt, i fortini e noi

Salute, qualità della vita, ambiente. La voce degli abitanti