post — 1 Dicembre 2025 at 18:02

Immaginare strumenti transazionali: risposte collettive all’attuale svolta autoritari europea

Il 22 novembre siamo stati ospiti al Rock In Squat, a Bruxelles, per un dibattito insieme alla Rete di solidarietà per i prigionieri politici palestinesi “Samidoun”, classificata come organizzazione terroristica da Canada e Stati Uniti, bandita in Germania e a rischio dissoluzione in Belgio. Questa iniziativa è stata organizzata da GREVE, programma radiofonico che, per Radio Onda Rossa, discute di movimenti e conflitto sociale in Belgio.
Questo momento è stato immaginato per dare una risposta ad alcuni bisogni reali: il primo è sostenere le spese legali del Movimento No Tav, in cui per le iniziative al Presidio dei Mulini del 2020, sono state inquisite anche persone del collettivo che ci ha ospitati; un altro è darsi degli strumenti per reagire agli attacchi (giudiziari e non) che i movimenti stanno subendo da nord a sud dell’Europa, in prospettiva di sostenerci a vicenda nell’arduo compito di attuare processi radicali di trasformazione dell’esistente.
Metterci in connessione, uscire dall’isolamento, è stato il primo passo. Così come essere consapevoli che i colpi del nemico non colpiscono tutti e tutte con la stessa intensità e violenza, dentro e fuori dall’Europa. Per questo la prospettiva di alleanze che vadano oltre i confini nazionali, sono auspicabili quanto necessarie e di fatto già esistono: dalle lotte transfemministe a quelle per il clima, da Black Lives Matter alle lotte in solidarietà con il popolo palestinese, vediamo il mondo intero muoversi senza confini.
Inizialmente è stata condivisa la lettura, nel contesto europeo, di una controparte che presenta forme, metodi, tempistiche differenti, ma legate da un filo conduttore: dalla legge l660 in Italia alla dissoluzione arbitraria di organizzazioni considerate “troppo radicali” in paesi come Belgio e Francia, sanzioni amministrative e penali, e modelli sempre più aggressivi di controllo dell’ordine pubblico. Questo passaggio repressivo è il risultato di dinamiche interconnesse: l’ascesa delle destre autoritarie, l’approfondimento della crisi della democrazia rappresentativa, il drammatico peggioramento delle condizioni materiali delle classi lavoratrici e marginalizzate, la persistenza di un passato e presente coloniale e la consolidazione di un regime di guerra a livello continentale.
Questa congiuntura descrive il tentativo di un sistema capitalistico in crisi permanente di riorganizzarsi attorno alla guerra. Guerra nel senso tradizionale del termine, ma anche in senso più ampio e a differenti gradi di intensità: dall’economia di guerra alla militarizzazione della società e all’autoritarismo sempre alla ricerca di un nemico interno che a turno possono essere dei militanti politici, le soggettività razzializzate e marginalizzate, lə lavoratorə e disoccupatə in lotta.
Con caratteristiche proprie, anche in Belgio il governo, insieme alle istituzioni dell’UE e a tutti i governi nazionali europei, si è allineato a questa tendenza generale verso la guerra. Dal minacciare lo scioglimento di organizzazioni politiche accusandole di essere minacce alla sicurezza nazionale (così come è successo in Francia con Soulevements de la Terre o con l’operazione “Sovrano” alle nostre latitudini), al sollecitare il dispiegamento dell’esercito nelle strade di Bruxelles, dalla retorica razzista contro migranti e soggettività razzializzate all’invocazione dell’impunità della polizia, dal chiamare i giovani ad arruolarsi in massa nelle forze armate, allo smantellamento di ciò che resta dello stato sociale belga dichiarandolo finanziariamente insostenibile mentre la spesa militare cresce enormemente.
Con questo incontro si è voluto provare a pensare nuove strategie di solidarietà transnazionale, contro e oltre la repressione, così come immaginare forme nuove o rinnovate di internazionalismo. Il rifiuto della guerra e la messa in crisi della sua economia possano rappresentare un campo di battaglia politico su cui crescere e prosperare. Riaffermare un fronte internazionalista di opposizione alle guerre capitaliste, potrebbe permetterci di continuare la lotta per la Palestina e contro tutte le guerre coloniali e imperialiste nel mondo destabilizzando l’industria militare europea che le rende possibili.
Lottare contro l’economia di guerra ci permetterebbe di mostrare il legame tra il drammatico peggioramento delle condizioni materiali e l’aumento esponenziale della spesa militare dei nostri governi, così come svelare la vera maschera della destra guerrafondaia, serva repellente e fedele delle classi dominanti.
La sfida nel presente è impiegare pratiche differenti e differenti orizzonti in base al contesto specifico, permettendo di coltivare l’autonomia delle soggettività che li immaginano e li costruiscono. Un approccio transnazionale, multi-livello e pluriversale alle lotte implica uno sforzo collaborativo, basato sullo scambio reciproco di metodi, abitudini, paure e speranze. Muoviamoci a ritmi, passi e velocità diverse, rispettose della specificità di ogni lotta e allo stesso tempo allineate contro la repressione.
Ringraziamo ancora chi ci ha invitato a questo ricchissimo momento di scambio e solidarietà, sperando di poterci presto ritrovare in Val di Susa l’8 dicembre!