Riceviamo e pubblichiamo

Lo sappiamo, la grande opera non si è mai fermata, neanche per un istante. Questo è vero. Eppure, in oltre trent’anni, non è stato realizzato neanche un metro di nuova ferrovia in Valsusa. Anche questo è vero. Ma cosa diamine avranno combinato allora, in tutto questo tempo? A che cosa è servita tutta la militarizzazione del
territorio, la repressione, la metastasi dei cantieri che si espandono sul fondovalle? Sarà servito a qualcosa, oppure no?
Gli ultimi 5 anni hanno portato a un cambio di passo nella realizzazione della Torino-Lione in Valsusa: un nuovo
autoporto a San Didero, nuove aree di cantiere (aperte in sordina) a Salbertrand e a Ferriera, espropri e recinzioni nella piana di Susa, e la disponibilità di grandi aree di deposito per lo smarino: a Caprie, Caselette, Druento e dulcis in fundo, a Torrazza Piemonte, nel Canavese.
Insomma, si sono allargati. E l’hanno fatto per bene, preparandosi il terreno: a settembre del 2021 passa la legge 121/2021, che all’articolo 3, comma 9-ter, decreta che “le aree e i siti dei Comuni di Bruzolo, Bussoleno, Giaglione, Salbertrand, San Didero, Susa e Torrazza Piemonte, individuati per l’installazione dei cantieri della sezione transfrontaliera della parte comune e delle opere connesse, comprese quelle di risoluzione delle interferenze (ndr: case da abbattere e terreni da cementificare), costituiscono aree di interesse strategico nazionale”.
E uno. A giugno dell’anno successivo, la CIG (Commissione Inter-Governativa, il tavolo italo-francese che prende
decisioni politiche rispetto al progetto per la nuova linea) annuncia il “via libera” per il riutilizzo binazionale dei
materiali di scavo. Nasce il cosiddetto “cantiere unico binazionale” della Torino-Lione, una svolta procedurale “che
fissa l’insieme dei cantieri dell’opera come un unico sito,” vale a dire: dal Canavese alla Maurienne, ora è tutta terra
di TELT.
E due. Infatti perché grazie al cantiere unico, TELT e le tante ditte che lavorano dentro i cantieri (soprattutto nella
parte riguardante il movimento terra) possono ora tranquillamente movimentare materiali da un cantiere a una
cava o viceversa senza dover sottostare a quei fastidiosissimi controlli a campione che lo stato richiede solitamente
a chi vuole smaltire grandi quantità di materiali. Adesso che è tutto un unico cantiere, secondo le norme vigenti
quel materiale può tranquillamente essere considerato “sottoprodotto di lavorazione” da riciclare, e non più
materiale di scarto. Questioni di lana caprina? Macchè, qui c’è da farci i soldoni.
Veniamo al dunque: dietro a quest’architettura dei nuovi siti di cantiere e di deposito legati al TAV, troviamo un
vasto sistema di ditte che lavorano in appalto e in sub-appalto, come un enorme gioco di matriosche il cui scopo è
di permettere che la Valsusa continui a essere terreno fertile per speculatori e mafiosi.
Lo schema che accompagna questo testo contiene alcuni elementi che sono da considerarsi fondamentali per
capire lo stato dell’arte delle grandi opere in Valle di Susa, Torino-Lione in primis. Per quanto incompleto e
indubbiamente parziale (nonché di parte), rappresenta un tentativo di sbandolare la matassa di quello che noi,
abitanti della valle, vediamo tutti i giorni: camion che sfrecciano su e giù, alcuni pieni, alcuni vuoti, partendo da
chissà dove e diretti chissà dove, trasportando chissà cosa. Però notiamo che in una discarica a Bardonecchia è
stato ritrovato il C6O4, materiale sintetico contenente PFAS che, teoricamente, non dovrebbe mai uscire dallo
stabilimento Solvay di Spinetta Marengo, nell’alessandrino, a 180 km di distanza.
Vai a capire come ci è arrivato, fin lassù. Del resto, anche il materiale amiantifero che fino a qualche anno fa si
trovava nell’attuale zona di cantiere di Salbertrand non si sa bene che fine abbia fatto. Persino la Regione Piemonte
ne ha perso le tracce.
Lo schema riporta alcuni raggruppamenti di ditte (chiamiamoli pure feudi) che sono coinvolti nei lavori del TAV.
Mette in chiaro alcune cose, tra cui i cantieri dove queste ditte lavorano, le lavorazioni che fanno, e i legami
(societari o anche individuali o di parentela) che hanno con altre ditte coinvolte.
Nel corso degli ultimi anni, la vicenda Echidna ha scoperchiato un giro importante di affari legati all’ndrangheta con
al centro Co.Ge.Fa. (con sede a Torrazza Piemonte) e Sitalfa (partecipata Sitaf), due ditte che, guarda caso, hanno
anche ruoli di spicco all’interno della Torino-Lione. Vogliamo davvero aspettare altri 5 anni che esca il nuovo caso
giudiziario?
Stai all’erta, a sarà düra.




