post — 26 Gennaio 2017 at 19:22

Terremoto, un viaggio che non promettiamo breve. Rapporto dalle Marche a cinque mesi dalla prima scossa

Campagna di San Ginesio (MC). Foto di Michele Massetani.

di In Punta di Sella da Giap

«Se mettevi in guardia prima, eri parte della solita “Italia del no”.
Se protestavi durante, quando i lavori causavano già problemi e danni, forse avevi ragione ma ormai non si potevano lasciare le cose a metà.
Se denunciavi dopo, eri uno che non sapeva lasciarsi il passato alle spalle.»
Wu Ming 1, Un viaggio che non promettiamo breve

Dove eravamo rimasti? Ah sì, circa due mesi fa eravamo rimasti che non ci sarebbe stato nessun post terremoto. Questa previsione si è rivelata esatta, non solo perché il terremoto non ha mai smesso di romperci i coglioni (consentitemelo, sono 5 mesi, quarantottomila scosse, non potrei dirlo diversamente), ma perché tutte quelle «operazioni» che solitamente ci si aspetta di vedere a seguito di eventi cataclismatici non si sono assolutamente viste.

D’altra parte, stiamo vivendo un momento storico cruciale per il territorio della terra di mezzo. Le faglie accumulano energia per anni, decenni, e poi la liberano in pochissimi secondi. Nel cratere e nelle zone limitrofe interessate dalle scosse di questi cinque mesi la storia ha imitato questo meccanismo.

Le aree interne di Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo sono zone lontane dalle cronache, in cui apparentemente non succede mai niente. L’immaginario pubblico non le posiziona neanche troppo bene geograficamente: ancora solo qualche giorno fa per un noto TG nazionale Teramo era una «provincia marchigiana». Ma da cinque mesi a questa parte in questo territorio misconosciuto ai più si stanno concentrando tutte le contraddizioni, l’inefficienza, i limiti, i conflitti, la voracità, l’intolleranza del nostro sistema politico economico. Da questo punto di vista ciò che sembra uno stato di eccezione è in realtà il disvelamento della norma: l’emergenza porta a galla, mette a nudo il processo di anni di svendita ai privati, smantellamento del welfare, rincorsa del capitale alle grandi opere, distruzione delle identità locali. La (non)gestione del dopo sisma prefigura quelli che sempre di più saranno i problemi che le popolazioni si troveranno ad affrontare ogni giorno.

Più volte è stato segnalato come il vero problema sia il modello di sviluppo capitalistico, più volte è stato sottolineato come sia paradossale e assurdo continuare ad investire sulle grandi opere quando si è di fronte ad un territorio che andrebbe totalmente ripensato e rimesso in sicurezza.
Da qualche mese c’è uno strumento in più che può aiutarci ad interpretare quello che sta succedendo, uno strumento che a livello temporale ha intrecciato la sua nascita con il territorio del cratere.
È un libro scritto in parte anche in provincia di Macerata, per l’esattezza a Colmurano, e uscito il 31 ottobre 2016, il giorno dopo la scossa più forte della sequenza sismica.

Il libro è Un viaggio che non promettiamo breve di Wu Ming 1. Parla di un territorio che ha vissuto e vive da anni – da almeno 25 anni – contraddizioni per certi versi simili a quelle del cratere. Quel territorio è la Val di Susa e quei 25 anni sono gli anni della lotta contro l’Alta Velocità: la lotta No Tav. Lì lo stato con le sue propaggini ha dato il suo soffio vitale ad un’Entità contro la quale sta lottando un intero territorio, un territorio che travalica i confini della Valle.

Nel suo libro Wu Ming 1 ripercorre la storia e l’humus che hanno portato quella della Val Susa ad essere la lotta più longeva d’Italia. Scorrendo l’imponente e minuziosa opera di ricostruzione ci si accorge anche del molteplice apparato repressivo che lo stato, nelle sue svariate forme, ha creato a difesa della sua entità.
Nel territorio del cratere siamo solo all’inizio, ma alle prime avvisaglie di contestazione chi comanda ha già messo le carte in tavola:

«Chi avanza inutili critiche non ha forse capito che sta attaccando il Sistema Paese.»

Così si è espresso il 19 gennaio il Capo del dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, a seguito delle dichiarazioni di chi da Amatrice a Camerino, da Tolentino a Teramo, si è permesso di dire che forse qualcosa non va.

Ma cosa non va? Perché sono nate decine di blog, pagine Facebook, associazioni, reti che fanno informazione ed intervengono criticamente su quanto sta accadendo? Perché sindaci e associazioni di categoria si scontrano quotidianamente a mezzo stampa contro «il mancato intervento»?

La prima cosa sulla quale occorre fare chiarezza è che, nonostante i mezzi di informazione se ne siano dimenticati per mesi, la situazione all’interno del cratere non ha mai smesso di essere critica. Lungaggini burocratiche, ordinanze, inefficienza e un generale stato di caos informativo hanno sfibrato un tessuto sociale ed economico già devastato dagli eventi tellurici. Tanto da portare qualcuno a parlare di una vera e propria «strategia dell’abbandono».

La cronica mancanza di casette e alloggi che consentano alle popolazioni colpite di rimanere nelle aree in cui si lavora o si vive è stata apostrofata dall’Assessore regionale alla Protezione Civile delle Marche, Sciapichetti, come «polemica forse inutile». Lo stesso Sciapichetti a seguito del crollo di numerose stalle – con la conseguente morte di molti animali – causato dalla neve ha dichiarato: «è necessario ammettere con onestà che è mancata una comunicazione chiara e comprensibile, soprattutto per gli addetti ai lavori e un coordinamento efficace per produrre un tempestivo intervento». La Coldiretti in questi giorni rileva che nelle Marche sono state realizzate solo 2 delle 370 stalle necessarie agli allevatori. Si potrebbe continuare all’infinito con i ritardi nei controlli agli edifici e nel pagamento dei contributi per l’autonoma sistemazione o con le ordinanze in contraddizione tra di loro. La neve, è inutile dirlo, ha solo aggravato questa situazione.

Piazza di San Ginesio (MC). Foto di Michele Massetani

L’emergenza neve merita forse un piccolo capitolo a parte, perché tutti i limiti dell’intervento governativo sono venuti ancora più a galla, anche nella percezione della popolazione. Se il terremoto, anche solo a livello inconscio, giustifica in parte i ritardi perché imprevedibile ed imponderabile, la neve no. La neve in Appennino non è prevedibile ma banalmente scontata, tanto più che interventi venivano richiesti già dal primo giorno e, vista la scarsa presenza di uomini e mezzi, ci sarebbero stati problemi anche con nevicate meno abbondanti.

L’impreparazione della gestione dei soccorsi, decine e decine di migliaia di persone senza corrente elettrica per giorni e giorni, la carenza di attrezzature non possono essere giustificabili con la frase «ha nevicato tanto». Come se quel territorio non avesse già i suoi problemi e non andasse sostenuto a prescindere.

Tutte queste osservazioni sono durate pochissime ore nei mezzi di informazione, che ancora una volta erano a caccia del semplice caso di cronaca, qualcosa ad uso e consumo dell’osservatore disattento. In questo senso la terribile tragedia dell’hotel Rigopiano è stata presa e sfruttata a dovere, una nuova Vermicino che per i media cancella i morti che nel frattempo si registrano nel resto dell’Abruzzo e tutti gli altri immani problemi devastanti delle zone colpite.

Così mentre i mezzi di informazione sottolineano, come se fosse uno scoop, che il ragazzo Senegalese morto nell’hotel è incensurato, Salvini si presenta in televisione con i doposci mentre si cercano i sopravvissuti scavando giorno e notte.

Mentre l’italica informazione è impegnata a «difendere i nostri valori» è ancora una volta dal basso che arrivano le notizie importanti, è infatti proprio il forum abruzzese dei movimenti per l’acqua a «scoprire» che l’hotel è stato costruito sui resti di altre valanghe e che lì non sarebbe dovuto esserci.

Sempre in merito al racconto di quanto sta accadendo, Un viaggio che non promettiamo breve ci è utile per capire come i mezzi di informazione mainstream vengono spesso usati per etichettare chi protesta e più in generale chi non si adegua ai voleri calati dall’alto. Se in Val di Susa infatti si diventa in men che non si dica «blecche blocche», gli abitanti dell’Appennino che per ragioni personali o lavorative vogliono rimanere nel loro territorio rifiutando di essere deportati lungo la costa diventano «gli irriducibili». Quasi dei pazzi, dei blecche blocche montanari appunto, che per ragioni inspiegabili vogliono rimanere sotto la neve e sopra la terra che trema. Si tralascia il fatto che non tutti, mancando un welfare adeguato, hanno la possibilità di spostarsi abbandonando tutto e che il più delle volte si tratta di persone che da decenni preservano(gratis) un territorio montano completamente abbandonato a sé stesso dalle istituzioni.

Mentre questo pezzo viene scritto, 500 terremotati manifestano a Roma per protestare contro ritardi e abbandono e per una burocrazia meno soffocante, anche loro pressoché ignorati nelle home page dei principali giornali on line e relegati a servizi di contorno dei vari tg.

Contro la strategia dell'abbandonoRoma, 25 gennaio 2017, foto di @matteoparlato.

A fronte di tutto questo qual è la risposta del governo? Il primo ministro Gentiloni, che ha ereditato in perfetta continuità il «non vi lasceremo soli» di renziana memoria, dichiara di voler dare più potere al commissario straordinario Vasco Errani e al capo dipartimento della protezione civile Curcio. Ancora una volta ci si rivolge a chi ha già dimostrato di avere limiti gestionali, ancora una volta l’Italia indica l’uomo forte. Dimenticando il fatto che, anche recentemente, questo non ha portato a niente di buono e se c’è qualcosa che ha tenuto in vita il territorio in attesa dei tardivi soccorsi è stata la straordinaria risposta collettiva di associazioni, cittadini e realtà autogestite di varia natura.

«Quel che [la Val di Susa] aveva era un patrimonio di storia e storie riattivate dalla lotta, un rapporto tra presente e passato che poteva servire da ispirazione, ma solo se ciascuna realtà avesse riscoperto il proprio passato, fatto riemergere le contraddizioni sepolte che continuavano a smuovere il terreno sotto i piedi, fatto leva sulle peculiarità storiche, geografiche e sociali del proprio ambiente.»

La storia delle nostre montagne, la nostra storia, è fatta di sibille, briganti, eretici e partigiani.

Quella storia andrà narrata nuovamente e fatta rivivere nel presente. Sarà un viaggio che non promettiamo breve.

Appennino resistente e meticcio: il gruppo Roti.

A febbraio Wu Ming 1 sarà nelle Marche per un breve tour di presentazioni: venerdi 3 a Macerata al CSA Sisma e Sabato 4 a Fano, allo Spazio Autogestito Grizzly. Con attivisti No Tav e della rete marchigiana Terre in Moto si parlerà della Val di Susa e delle valli marchigiane.

Daje!

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